C’era una volta Mickey

Inizierò così, come si fa nelle favole, nei racconti in cui tutto va per il verso giusto, nonostante qualche peripezia e alla fine si vive sempre felici e contenti.

C’era una volta Mickey, un cagnolino bianco e marrone, buffo e disordinato, con un istinto famelico e tanta, tanta voglia di giocare.

Mickey vedeva sempre il mondo a colori, per lui il cielo era azzurro e limpido anche quando pioveva a dirotto. Non gli importava mai di bagnarsi, l’ombrello non era una sua premura e la pipì contro un albero la faceva lo stesso, anche con le zampette bagnate per via delle pozzanghere.

Ogni cosa lo incuriosiva: una coccinella, una piuma sollevata dal vento, un elicottero fra le nuvole. Abbaiava sempre per sembrare il più forte, ma mai il più aggressivo, per dire sempre la prima parola, ma mai l’ultima. Abbaiava per chiacchierare con gli umani, anche se non li capiva.

Per Mickey un giochino rotto era sempre il più bello, perché aveva il suo odore e perché era quello con cui si era divertito di più. Si addormentava tenendolo fra i denti e schiacciando il piumone con le zampette, ora un lato, ora l’altro, alternando destra e sinistra, destra e sinistra.

Amava il mare e sperava sempre che lo portassero in spiaggia. La prima volta fu strana: camminava e sprofondava nella sabbia, non gli era mai successo, ma capì subito come correre senza stancarsi il doppio. Le onde le teneva lontane, si spaventava.

Era fifone Mickey, aveva paura dei cani più grandi, dei rumori forti, della gente che si sentiva male. Non percepiva i pericoli, per lui tutto era un mondo nuovo da scoprire e da vivere, da conoscere e da aspettare. Le sue attese erano importanti e davano sapore a ogni giornata.

La mattina si svegliava con un pensiero fisso: la colazione. Così rimaneva sul divano, con un occhietto chiuso e l’altro aperto per essere pronto a scivolare verso la sua ciotola. Con la pancia piena giocava, saltava e si rotolava sul tappeto fregandosene del fastidio di un rigurgito: se un ruttino mandava su due croccantini, lui, senza pensarci una volta in più, li rimetteva dentro in un boccone.

Il pomeriggio si rilassava lasciando che il vento gli spazzolasse il pelo senza tirare i nodi, ma delicatamente. La sera…ah, la sera era il momento più prezioso, quello in cui si faceva piccolo piccolo e si chiudeva a riccio per dormire accanto alle persone che amava.

La sua famiglia era tanto diversa da lui, ma questo non era mai stato un suo problema. Loro stavano su due zampe, lui su quattro. Loro contavano le calorie del cornetto a colazione, per lui i croccantini non erano mai abbastanza. Loro stavano sempre al cellulare, lui sul cellulare aveva poggiato soltanto le zampette qualche volta, facendolo cadere per rincorrere un’ombra o un riflesso improvviso.

Loro piangevano, si arrabbiavano, non si parlavano più per ore. Lui conosceva soltanto il dispiacere fugace di un rimprovero e la gioia di una carezza che scioglieva tutto. Loro tenevano rancore, lui non sapeva che cosa fosse. Loro uscivano poco perché erano stanchi, lui voleva uscire sempre anche se era stanco.

Loro erano quelli che sapevano e capivano tutto, lui, beh, lui era solo un cane e molte cose non poteva comprenderle. Non conosceva il brutto voto a scuola, i soldi che non bastavano mai, l’ansia, l’angoscia, l’addio.

In cambio, però, aveva il dono della semplicità, della naturalezza. Mickey scodinzolava per qualsiasi cosa: quando giocava, quando incontrava qualcuno, quando mangiava, quando passeggiava.

Scodinzolava sempre, anche negli spazi stretti e scomodi, con la coda che sbatteva da un lato e dall’altro, ora contro una parete, ora contro una porta, perché la felicità durava un attimo, qualunque fosse il motivo, qualunque fosse il posto. Sprecarla per paura di farsi male sarebbe stato un gesto da folli. Un gesto da umani, ma Mickey era solo un cane…per fortuna.

Una storia semplice su un cagnolino semplice, il mio, che ogni giorno mi insegna sempre tante cose, la più importante è che ‘bau’ nella sua lingua ha tanti significati: sì, no, scusa, per sempre. Che cos’altro gli serve? Ha già tutto lui…e lo sa.

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