Se busso, mi apri?
Mi hanno detto che la strada per il Paradiso è tutta in salita per chi parte da qui a piedi e che non conviene intraprenderla, perché ci si perde in fretta e tornare indietro è difficile.

Eppure, io guardo il cielo, quando tramonta il sole e sembra così vicino. Tu mi sembri così vicino.

Sempre dritto, poi a destra e su lungo una curva ripida. L’altra sera ce l’ho fatta, ma mi hanno detto che non c’eri, forse non mi aspettavi.

Mi hanno riferito che eri a fare quattro chiacchiere, tu, che hai sempre parlato poco.

Ma se domani torno e busso, mi apri?
Avrei qualcosa da raccontarti, perché qui le cose sfuggono, come quando ti scappavo dalle mani per rincorrere le foglie nel vento o qualche bolla di sapone che scoppiava, come se uno spillo d’aria l’avesse punta.

Vengo quando c’è ancora luce, tranquillo, non mi incammino col buio e non faccio tardi, promesso. Tu dimmi quando sei libero e io passo, anche solo per mezz’ora.

Per ridere insieme, così come facevamo. Per conversare un po’, che in questi giorni non ho molte parole con me.

Dai, se busso, mi apri?
Dammi un orario. Ti aspetto come facevo quando uscivi da lavoro e il rumore della macchina e delle tue chiavi mi avvertivano sempre in tempo: eri arrivato.

Un bacio, un saluto e poi potevo tornare a fare quello che facevo.

Busso due volte più una e tu apri, va bene? Così capirai che sono io e non qualcun altro e alla porta potrai venire tu e non mandare qualcun altro, non mi riconoscerebbe.

Tieniti libero in queste sere, in queste notti, che basta un sogno per riaverti.
Un sogno per far mattino.
Un sogno, che mi desti da questa realtà, perché è qui che a volte spero di avere gli occhi chiusi.

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