Alla prima lezione del Master in Editoria avevo una maglietta verde, una giacca bianca e un paio di jeans. Lo ricordo perché i vestiti da mettere li preparai sulla sedia la sera prima: scelti con cura per sembrare seria e adulta, io che fino a qualche tempo fa apparivo agli occhi degli altri sempre troppo piccola.
La classe era piena, nessuna sedia vuota. Ci accolsero in quattro quella volta: Virginia, Salvatore, Erica e infine Giuseppe, arrivato in ritardo e definito in sua assenza dai colleghi il più “cattivo e temibile” di Villaggio Maori (…non era così!).
Ci presentammo, partendo dal primo posto dietro alla porta: era Miriam, palermitana e amante dei libri, quel giorno in compagnia del suo fidanzato. Il giro delle conoscenze continuò: c’era chi frequentava ancora l’università, chi si era laureata da poco, chi, già professionista, alzava la media dell’età in classe, chi provava curiosità per il mondo dell’editoria, chi era lì per tentare un’altra strada, per darsi un’alternativa.
Ascoltavo i loro racconti con attenzione, cercando di rendere sin da subito familiari le loro voci e i loro volti e di sentire, con un po’ di fretta, in ciascuno di loro già una piccola parte tutta mia.
Seguendo il percorso a serpente dei banchi, giunse anche il mio turno. Mi presentai, forse mi tremava un po’ la voce, non lo ricordo. So però che mi sentivo nervosa. Dissi il mio nome e cognome, dissi che ero giornalista e responsabile della comunicazione per due diverse aziende e dissi anche che quella era la terza volta che provavo a frequentare il Master, ma che, per un motivo o per un altro, fino ad allora non era mai stato possibile.
Ammisi di averli contattati ogni anno e scoppiarono a ridere, dietro battute quali: “Ah, quindi eri tu la famosa Daniela Pellegrino? In effetti, ci chiedevamo proprio di te. Eri ormai un soggetto familiare!”.
Si presentarono anche gli altri, fino a quando non furono proprio loro a prendere parola.
Ci spiegarono la struttura del Master e che cosa quel percorso di studi avrebbe preteso da noi: il nostro impegno, la nostra dedizione, la nostra passione e soprattutto i nostri errori, la consapevolezza di non saperne mai abbastanza e di dover imparare da tutto, da una serie televisiva, da una scena di vita quotidiana in piazza, dal gossip, dai libri, da chi ci stava accanto, da chi sarebbe stato dietro quella cattedra.
Uscii da lì con la tensione iniziale tramutata in adrenalina ed emozione. Finalmente, dopo un’estate un po’ strana, mi trovavo nel posto giusto. Proprio lì, dove desideravo essere già da anni.
Tornai a casa nel pomeriggio e raccontai tutto a mia madre, a mia sorella, alle mie amiche, nutrendo dentro di me soltanto la voglia di iniziare.
Non abbiamo ancora finito per fortuna, perché forse in fondo vorrei che durasse in eterno.
È rimasto l’ultimo mesetto di lezioni, prima dello stage, le ultime e intense prove. Ne ho fatte tantissime quest’anno, ho perso pure il conto. Ora ci tocca lo step più difficile, quello in cui dover riprendere tutto e dimostrare davvero chi siamo diventati oggi, dopo un percorso lungo e pieno e chi potremmo diventare domani.
È stato un periodo intenso, fatto di viaggi continui. Gela-Catania/Catania-Gela tutti i venerdì, i sabati e anche le domeniche. Partivo in macchina la mattina e ritornavo quando il sole tramontava o aveva già fatto buio, in compagnia delle immancabili premure di mia madre: “Avvisami, quando arrivi. Manda un messaggio, quando parti”.
Un paio di volte ho beccato la pioggia e un altro paio di volte una nebbia spaventosa nelle zone di Caltagirone, ma non ho mai avuto paura, perché anche in quel caso per me era la strada giusta, in cui dovevo trovarmi in quel preciso momento.
Ho saltato la libertà di tanti week end, dovendo rinunciare alle cene in pizzeria con le amiche, perché il giorno dopo si iniziava presto e io dovevo partire ancora prima.
Ho perso ore di sonno, ho accumulato stanchezza e occhiaie e cambiato tre correttori diversi nel tentativo di coprirle bene (o almeno ci ho provato!).
Ho sperimentato l’editing, le correzioni di bozze, l’editoria di genere, l’impaginazione con InDesign, l’ebook, il social media marketing, l’editoria per ragazzi, gli audiolibri, l’ufficio stampa, la progettazione dei contenuti, l’aspetto commerciale.
Ho persino fatto un conto economico, io che con i numeri ho sempre avuto un rapporto di reciproco odio. Già, perché credo proprio di non essergli mai piaciuta, così come loro, sin dalle elementari, non sono mai piaciuti a me.
Ho collezionato qualche ritardo, lo ammetto. Ho gustato cioccolate buone e altre meno buone, specie quando mi è stata servita con l’acqua e non con il latte. Ho mangiato tanti biscotti e panini a volontà, ma anche porzioni di pasta al forno, lasagne e farfalle con la panna per onorare i pranzi della domenica fuori casa.
Ho conosciuto nuove amiche. Donne in gamba con cui ho condiviso dapprima i libri, poi le opinioni, poi le risate, poi i racconti personali, le esperienze e infine la cosa più preziosa: il tempo. Sì, il tempo delle telefonate, dei messaggi, del “Ci sei? Ho una novità da raccontarti!”.
Questo Master mi ha insegnato tanto e spesso senza averne neanche la pretesa. Ho imparato che nella vita è più importante sbagliarsi, che sbagliare e che si rientra in partita proprio quando credi ormai di aver perso.
Ho capito che l’editing è quanto di più affascinante possa esserci nel complesso, articolato e magico mondo della scrittura. Che un libro non è un oggetto, ma un corpo in cui vivono le anime di tanti: dello scrittore, del redattore, del correttore. Del lettore, che davanti a sé trova pagine belle da leggere e da vedere.
Ho capito che, se prima tutto questo mi incantava, adesso mi conquista ogni giorno che passa. Che è un settore in cui è difficile entrare e farsi spazio, che servono tenacia, determinazione, competenze, conoscenze e testa dura e che va già bene se di queste caratteristiche ne possiedo almeno una: l’ultima.
Non lo so dove mi porterà tutto questo, non ne ho proprio idea. So che il destino per adesso mi ha condotto fin qui, alle ultime pagine di un capitolo iniziato con una certezza che mi sono ripromessa di ricordare tutti i giorni: “Dopo ogni punto inizia una nuova frase e tu la vita l’hai sempre scritta: sai come si fa!”
Io ci spero con tutte le mie forze, anche se la speranza da sola non basta, ma farei un torto alla mia quotidianità, se le togliessi il privilegio di sognare e di crederci.
In fondo, a me le cose facili non sono mai piaciute e, se il tempo e le forze saranno dalla mia parte, fino all’ultimo momento ci sbatterò la testa, come ho sempre fatto.
Perché così, un domani, poter dire di avercela fatta avrà un sapore buono, ma anche la consapevolezza di aver tentato il possibile servirà a rendere dolce persino il boccone più amaro.
Io sono pronta a tutto!
(In foto, un momento in cui rivedevo la mia correzione di bozze. Di fretta anche quel giorno, ma stranamente in anticipo)