Ciascuno di noi ha delle parole che ama più delle altre. Lo scrivevo due anni fa e oggi mi chiedo a che cosa pensassi, quale fosse la parola che già allora amavo di più.
Sicuramente, quella che dico più spesso è “ciao” . Quanta gente incontro al giorno, tantissima. Persone che conosco, ma anche che non ho mai visto prima e che, per abbattere le distanze, saluto cordialmente comunque.
In fondo, sono i nostri atteggiamenti, il tono di voce che usiamo, i gesti, il saluto che ci rendono degli estranei l’uno per l’altro. Provateci: sorridete a qualcuno che vedete per la prima volta così come fareste, se davanti a voi aveste un vostro caro amico. Nessuno vi prenderà per folle né per inadeguato, anzi. Servirà a entrambi per parlare con più tranquillità ed entrare in sintonia, anche se fino a quel momento non vi conoscevate.
La parola che mi manca di più…ah, questa la so: papà. Continuo a ripeterla nei miei pensieri, la notte, quando vado a dormire, quando porto un fiore davanti a quella foto sempre uguale e a quella scritta, a quelle date che mi ricordano che esistono un inizio e una fine, che per lui purtroppo ho già conosciuto, ormai non ho più nulla da sperare.
Dico “papà” tutte le volte che ho paura, quando per strada in macchina non so dove andare e il buio non mi aiuta, quando un professore sta per fare il mio nome e tremo per un esame, quando qualcuno a me caro sta male. Ho detto “papà” ogni volta che mi sono sentita piccola, indifesa, insicura. Ogni volta che ho temuto di non essere abbastanza da sola, ogni volta che ho saputo, dentro di me, che con lui accanto sarebbe stato diverso.
Questa è in assoluto la parola che mi manca, perché nessuno risponde più. È diventata sorda, ma non ha perso ancora la voce per fortuna.
Un altro termine che uso spesso è “scusa” , perché sbaglio con costanza ogni giorno. Ho fatto dell’errore il mio pane quotidiano, perché nella vita ho scelto di rincorrere sempre qualcosa da imparare.
Commetto strafalcioni ogni ora: dalla brutta figura con qualcuno a un articolo che rileggo e correggo, dalle scelte impulsive alle volte in cui mi sono convinta di aver fatto bene, ma non è stato così. In tutte queste occasioni, ho sempre chiesto scusa. Scusa agli altri, scusa a me stessa. Scusa a tutti coloro che lo meritavano.
Questa è una delle parole più sagge, pacate, riflessive, consapevoli. Qualcuno dice che non sia facile pronunciarla, per me invece lo è e suona anche bene. La lingua non inciampa nel palato e le labbra si restringono e si allargano in un movimento così semplice e naturale, che non riuscire a dirla diventa soltanto una “scusa” , ma di altro tipo.
Ciascuno di noi ha delle parole che ama più delle altre. Sto continuando a pensarci, mentre scrivo e vomito frasi, come faccio spesso e per abitudine.
“Immaginare” . Un verbo che racchiude tutto e niente: tutto quello che desideriamo e forse poco o niente di quello che abbiamo. No, questa è una parola che non mi piace. Posso farne a meno.
“Vivere” . Termine sopravvalutato, di quelli che stanno sulla bocca di tutti, ma nel cuore di chi? I dizionari hanno provato a spiegarlo, ma non credo che ci siano riusciti pienamente. Possiamo trovare sinonimi, contrari, ma chi sa realmente che cosa voglia dire “vivere” ? Vorrei avere una risposta, ma sono ancora troppo giovane per poterne arrancare una e chi è già morto, purtroppo, non può tornare indietro per parlarci del giusto senso.
“Paura” . Questa è la mia preferita, ma non ancora la parola che amo di più. Io ho paura di tante cose. Dell’acqua alta per esempio, delle api, del fuoco. La paura ci permette di distinguere ciò che sappiamo fare da ciò che non sappiamo fare. Ci mette di fronte ai nostri limiti e non per dirci che siamo dei falliti, ma per farci capire da dove cominciare, da dove ripartire per portarci avanti.
È benedetta la paura. Ci fa tremare le gambe e il cuore, ma poi che soddisfazioni riesce a darci? È portatrice sana di onnipotenza, di eternità. La adoro questa parola, potrei tatuarmela sulla pelle, perché resti per sempre, perché possa ricordarmene soprattutto quando mi sento troppo sicura: non lo sei, Dani, hai paura e continua ad averla per favore!
La parola di cui mi fido di più è “ieri” . Sapete perché? Perché mi piace rivedermi, riascoltare i dialoghi, andare a spasso col tempo e sapere già come è andata. Mi piace “ieri” perché non hai più nulla da fare, nulla da creare, nulla da cambiare. È stato imperfetto, non lo è stato, poco importa. Ciò che conta è che sia stato essenziale.
“Ieri” indica l’origine. Potrebbe esistere l’oggi senza il giorno prima? È da lì che provieni. “Oggi” è un’altra possibilità da scrivere a matita. “Ieri”, invece, è inizio e fine insieme e puoi scriverlo con la penna nera, incancellabile, eterno.
È una parola amica, ecco perché mi piace. È costante, sincera, schietta, è l’unica parola di cui puoi davvero fidarti, perché non ti lascerà. Potreste dire lo stesso di “oggi”? Ne dubito.
Ciascuno di noi ha delle parole che ama più delle altre e le ha perché il mondo ha bisogno della nostra voce per commuoversi.
La mia parola credo che sia “raccontare” . È quella in cui mi riconosco di più, quella in cui riesco a essere me stessa senza vergogna né timidezza. È un verbo che mi mette a nudo, senza farmi sentire freddo, senza avvertire il bisogno di coprirmi, di nascondermi, di rivestirmi.
È la parola che, più di tutte le altre, mi tiene compagnia e sa come prendermi. Mi fa stare bene, mi rende felice, sì, se ho capito un po’ che cosa sia questa felicità. Un granello di sabbia che brilla più degli altri e sapete perché? Perché è lì che si specchia il sole all’alba ed è lì che si spegne al tramonto.