Ho provato a perdermi nelle mie paure e ho rischiato di annegare.

Ci ho messo dei giorni per risalire, per tornare a galla e prendere respiro. Ero in apnea, trascinata dalla corrente, da onde di schiuma e alghe che mi sbattevano da una parte all’altra del mare.

Ho provato a guardarle in faccia, queste mie paure e mi hanno deriso. Si sono prese gioco di me con smorfie e vocine che suonavano di ridicolo. Per ore mi hanno fatto il verso con superbia, arroganza, maleducazione. Si sono divertite a spettinarmi i capelli, a stropicciarmi i vestiti, a disegnare rughe sul volto, sulla pelle, attorno alle labbra per cucirmi i sorrisi.

Ci ho provato, sì. Ho provato ad affrontarle e, spavalde, le paure non hanno fatto un solo passo indietro. Sono rimaste ferme lì a fissarmi, a sfidarmi a loro volta. A puntare i miei occhi, senza abbassare lo sguardo. Sono sfacciate, bastarde, ingrate. Sono dannate e benedette, ma questo non lo sanno.

Ho provato a smarrirmi tra le mie paure come tra le pareti di un labirinto: tutte uguali all’apparenza, tutte convinte di portarti da qualche parte, senza però inseguire una meta, un percorso, una strada. Senza numero civico né indirizzo né città.

Come un nomade, un eremita, un barbone a piedi nudi, la schiena su una panchina e il naso rivolto alle stelle. In tasca una moneta, un pugno di sogni infranti e quella parte di cielo, in cui tramonta il sole.

Ho provato a raccontare le mie paure, a metterle nero su bianco, parola dopo parola, tra virgole e punti interrogativi, tanti. Ho cercato di dare loro un nome, ma si confondevano, si mescolavano, si somigliavano un po’ tutte. Creavano specchi di inganno e disinganno, in cui tu non eri più tu, io non ero più io, ma loro erano ancora loro.

Ho provato. Ah, se ho provato, fino a quando non ho deposto le armi, fino a quando non mi sono arresa, ho chiuso gli occhi e non mi sono più curata di loro, spegnendomi nelle mie giornate, accontentandomi di ciò che avevo, senza chiedere altro, senza volere qualcosa di diverso. Un’eclissi di solitudine, che le ha ferite. Un abbandono di sensazioni e pensieri che le ha indignate, stizzite, umiliate.

Io ci ho provato, ho provato a capirle, ma le paure non vogliono comprensione.
Le paure non vogliono tentativi. Pretendono delle scelte: con loro o contro di loro?

Io mi fido, l’ho sempre fatto perché, anche se sbagliano i modi, hanno tanto da insegnare e da mostrare.

Un tuffo, ci vorrebbe un tuffo per stare con loro come tra gli squali e non temere di essere divorati. Perché se il tuo corpo non sanguina, la loro fame sa attendere. Tu nuota, nuota più che puoi, senza fare troppo rumore e se non sai nuotare, impara.

Perché in fondo il mare è nero, ma se stai a galla, ti aspetta il cielo. E il cielo con le paure ci gioca a scacchi, come con le stelle e i desideri. Pedina dopo pedina. Mossa dopo mossa. In attesa del finale.

(Foto gentilmente concessa da Enzo Costanzo. Donna in mare)

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