Volevo leggerlo da anni e, finalmente, l’ho divorato, mandato giù in un sorso come chi beve per dimenticare un bicchiere dopo l’altro. Così io, pagina dopo pagina, mi sono ubriacata di parole.

La mia lettura è iniziata in aereo, è proseguita in treno, un po’ sul letto di un albergo la sera e si è conclusa in uno dei posti più belli: al mare.
Ora capisco perché ci ho messo così tanto per averlo, perché le cose davvero speciali si fanno sempre attendere.

Sto parlando del libro di Massimo Gramellini, “Fai bei sogni”, Longanesi editore. Un testo che ti rapisce nei sensi e nella mente sin dalla prima pagina, dal primo foglio di carta ruvida su cui, nero su bianco, giacciono le emozioni di un protagonista che cresce insieme a te.

Se dovessi usare una sola parola per descriverlo, sceglierei “disarmante“. È un libro che ti mette a nudo, nonostante l’intimità di una storia troppo personale per farla veramente tua.

C’è un bambino che diventa grande e c’è (o, meglio, non c’è più) una madre. Attorno a loro un vortice di emozioni diverse: la paura, l’amore e il non amore, la malinconia, la tristezza, l’orgoglio, la speranza, la disperazione. Tutto si perde per ritrovarlo in forma diversa, con un altro nome, prima di smarrirsi ancora un’altra volta.

Il nodo si scioglie soltanto alla fine. Vi confesso che ho continuato a leggere non comprendendo pienamente come un bambino potesse trascinare dietro di sé così a lungo la morte della madre e sentirla addirittura come una colpa, un peccato, un’ingiustizia, un rifiuto.

Scorrevo le pagine e pensavo in cuor mio che, crescendo, le cose per lui si sarebbero sistemate, ma non è così: più si va avanti, peggio è. Più si diventa adulti e più la mancanza si fa forte. L’ho avvertita nei suoi rapporti con le persone, nella vita di ogni giorno, nella fuga da rari barlumi di felicità, alla quale il protagonista non crede più e tu con lui, perché la vita non è stata generosa e non avrebbe mai potuto esserlo.

Per un po’ non l’ho capito, non ho compreso tutto questo, eppure orfana lo sono diventata anche io, ma di padre e a venticinque anni, dovrei sapere che cosa significa, ma non è stato così. Non subito almeno. Non lo è stato fino alle ultime pagine, quando ho sentito davvero nelle mani, negli occhi, nel respiro e nel cuore l’angoscia che ha provato lui, anno dopo anno, affacciandosi alla vita.

Ci sono cose che restano in sospeso nella coscienza. Anche se non riusciamo a metterle a fuoco, sappiamo e sentiamo che sono lì, pronte a stravolgerci l’esistenza.

A volte si sopravvive e, sopravvivendo al destino, alla sorte, al cielo, si dimentica il sapore delle cose buone.

È più facile scegliere come vivere o come morire? La domanda è stata un po’ questa.
Chi pecca di più: chi non onora la vita o chi corteggia la morte? E, a conti fatti, chi soffre di più: chi viene abbandonato o chi rinuncia a tutto nei suoi ultimi istanti prima della fine?

“I se sono il marchio dei falliti! Nella vita si diventa grandi nonostante”. Ho incontrato questa frase per la prima volta, quando non ero neanche arrivata a metà libro e ho riflettuto a lungo.
Può sembrare scontata, ma non lo è.

Riempiamo la vita di “se” senza neanche accorgercene, forse perché ci danno l’illusione di un tempo che magari non avremo. È come se separassimo le nostre giornate con delle virgole, così ciò che abbiamo lasciato ieri possiamo riprenderlo anche oggi e domani.

Sono i punti a farci paura, le pause forti tra un capitolo e l’altro della nostra esistenza, i “nonostante”. Perché, “nonostante tutto”, qualcosa si deve pur fare e ogni azione comporta una scelta: la consapevolezza.
“Fai bei sogni”, ha detto la mamma.
A tenerci svegli purtroppo ci pensa la vita.

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