È la fine dell’Ottocento e Fiammetta Renzi, minuta e sfrontata, osa essere donna.
Onesto, schietto, crudo. Il romanzo della scrittrice Emanuela Ersilia Abbadessa, edito Rizzoli, in trecentosettantanove pagine racconta un amore egocentrico ed egoista che conquista, ferisce e che umilia la personalità con l’impeto di azzerarla.
Fiammetta è una ‘tigre reale’, una donna libera, ambiziosa e coraggiosa, che ama e anche tanto, soffre, piange e si medica le ferite nel silenzio del suo dolore fisico e psicologico. Una donna che sotto a un corpo esile nasconde un coraggio maturo e consapevole.
Una creatura che si fida del mondo, che si illude, sbaglia, cede al risentimento e si rialza. Sì, Fiammetta si rialza sempre, alla fine di ogni pagina, alla fine di ogni capitolo. Dietro ogni sua parola e ogni sua frase c’è sempre la voglia di ricominciare e di ripartire da zero, nonostante le delusioni e le amarezze.
Agli occhi della società del suo tempo è soltanto una femmina che non sa stare al suo posto, che lotta contro i mulini a vento, pretendendo di essere ascoltata da chi invece continua a tapparsi le orecchie. Basta leggerla con il cuore, comprendendo la sua onestà, per provare quel profondo senso di rivalsa che ci avvicina a lei come un’amica, una mamma, una sorella.
La sua è una storia ambientata secoli fa, ma ancora oggi attuale. Un libro che tutti, uomini e donne, dovrebbero leggere, emozionandosi e arrabbiandosi.
Dopo averlo sfogliato a lungo, l’ho adagiato su una mensola della mia camera. È da lì che mi guarda, forse per proteggermi, forse per ricordarmi di essere un po’ Fiammetta nella vita di ogni giorno. Ed è proprio con le sue parole che voglio lasciarvi, concludendo questa pagina.
“Ci avete sempre costretto nei ruoli stabiliti da voi relegandoci solo a dispettose, pudiche, astiose, insolenti, pettegole, caste, gelose, facili. Ma ditemi voi: quali di questi appellativi hanno mai tenuto conto della nostra mente e della nostra anima nella stessa misura? Vi siete accontentati delle vostre categorie per la paura che, accettandoci simili a voi, un giorno avremmo potuto superarvi in scienza e sapienza. I ruoli riservateli a burattini e colombine della commedia veneziana, signori: noi siamo donne.”