“One day you’ll leave this world behind, so live a life you will remember”
(The nights, Avicii)

 

Se dovessi dare un colore alla vita, sceglierei l’arancione, come il paracadute del mitico Paolo.

10 novembre 2019, quattro giorni dopo il mio compleanno.
La mattina è iniziata presto, partendo dalla mia città in compagnia di due mie carissime amiche, certezze e pilastri di ieri, di oggi e di domani: Marilisa ed Elison. Due ore di viaggio in macchina, su strade mai percorse prima, lo stereo acceso, il sole alto nel cielo e una bellissima domenica di novembre.

Destinazione Siracusa, dai ragazzi di Skydive.
La gente lì era tutta con lo sguardo alle nuvole, da dove si affacciavano a turno persone che fluttuavano morbide nell’aria, appese a un paracadute colorato.
Un’immagine semplice, che nel mio viso ha disegnato il primo sorriso della giornata.

Ho mangiato un panino e ho atteso che facessero il mio nome. Dopo poco più di un’ora, hanno chiamato il gruppo numero undici, il mio, per il briefing. A spiegarci alcune semplici regole di un lancio perfetto è stato proprio colui con cui, di lì a poco, avrei condiviso le mie emozioni più belle.

Testa alta, gambe piegate all’indietro e poi, tac, aprite le braccia, non abbassate il viso in caduta libera e all’atterraggio alzate le gambe e tenetele tese. Nel frattempo, godetevi il volo e galleggiate in aria.

“Divertitevi, ragazzi! Pellegrino, sei pronta? Tu voli con me!”

Euforia, adrenalina, curiosità e solo un piccolissimo granello di paura, che mi ha portato a indossare la giacca, per me troppo grande, di mio padre, nascosta bene sotto la tuta blu che ho messo. A 4200 metri di altezza fa freddo a novembre, fa proprio freddo.

Dopo aver sistemato l’imbracatura e stretto ogni cinghia a suon di “spero di ricordare come si fa” per sdrammatizzare l’ansia del momento, siamo saliti per primi sull’aereo: io, Paolo e Andrea. Col primo ho volato, col secondo pure, ma non corpo a corpo, bensì faccia a faccia, perché ha ripreso tutto, ogni momento del mio bellissimo volo.

Con noi anche una coppia: figli del rock, insieme in quell’esperienza. La prima a lanciarsi è stata lei, lui subito dopo, io per ultima.

Come li misuri 4200 metri di altezza? È impossibile, non si vede nulla. Sotto di te ci sono le nuvole e tutto appare rimpicciolito e troppo lontano da raggiungere in appena sei minuti.

Viste da lì, le vite degli altri sembrano così piccole e la tua incredibilmente grande e non ti senti pronto.

Quello per me è stato l’unico momento in cui ho avuto paura, l’unico istante in cui ho pensato: “Ma cosa diamine stai facendo? Sei impazzita!”.

E mentre, fra me e me, ragionavo se dire di non fare nulla, rinunciare e tornare dentro, Paolo aveva già urlato “Andiamo, Dany!”, si era dato la spinta ed eravamo nell’aria a galleggiare, proprio come aveva detto, quando stavamo ancora con i piedi per terra.

Non ho ben capito che cosa sia accaduto in quei cinquanta secondi, ho soltanto sentito una sensazione di vuoto, mi sono vista sospesa in una dimensione trasparente e insolita, lontana dall’equilibrio a cui sono tanto abituata, con l’aria fredda che mi attraversava il corpo e addosso tanta, ma tanta leggerezza.

L’apertura del paracadute è un attimo, un piccolo scatto che ti tira su, che ti salva e che dice alla terra: “Aspetta, li tengo un altro po’ qui”.

“Sei stata bravissima, Dany, goditelo, goditelo tutto questo mondo! Stai facendo la cosa più bella che si possa fare da vestiti!”

Ridere lì, mentre stai volando con i piedi a penzoloni, è divertente il doppio, perché nessun altro ti sente, a parte voi e gli uccelli, che non ti giudicheranno mai.

“Dai, canta con me: noi siamo liberi, liberi, liberi di volare”.

Apro le braccia, non posso cadere, sono appesa a un filo che sa come portarmi giù.

L’atterraggio è stato gentile, tranquillo, sicuro, come tutto il resto. Ho dato il cinque ad Andrea, che ci aspettava con la telecamera. Ho abbracciato forte Paolo.

“Sappi, caro, che rimarrai tra i miei ricordi più belli!”

Ho camminato con le gambe che mi tremavano un po’, salutando fiera le mie amiche, che mi avevano aspettato dal cielo con ansia e un pizzico di paura anche loro.

Io soffro di vertigini, lo direste mai? Ebbene sì, ho il terrore delle altezze, non riesco neanche ad affacciarmi dai balconi che superino il quarto piano, al quale sono abituata solo perché ci vivo.

Eppure stavolta ho vinto io, sono stata io a far paura alla paura stessa. L’ho affrontata guardandola negli occhi, insegnandole come si frega qualcuno che si crede imbattibile. A suon di coraggio, follia forse e amore per sé stessi.

Oggi sono leggera come non mai, addosso ho una sensazione nuova, un piacere diverso, un’emozione che non conoscevo e che mi insegnerà a vivere nel modo giusto, trattando la felicità come un paracadute: si controlla in ogni sua parte, si scuote per eliminare residui di terra, si mette in ordine, tirando i fili, si preme per sgonfiarlo e si avvolge con pazienza, per poi ripiegarlo, riporlo al sicuro e prepararlo a un’altra esplosione.

Perché la vita ti manda giù senza freni solo quando hai imparato a salvarti e a salvare gli altri.
Tu devi soltanto trovare un colore alla tua felicità, al resto ci pensa lei.
E io il mio l’ho trovato.

2 COMMENTI

  1. Grande Daniela!!
    Hai provato qualcosa che molte persone hanno paura solo ad immaginarlo….lanciarsi da un aereo perfettamente funzionante e da 4200m!!
    La location tra le più suggestive in Italia > Siracusa!!
    A presto e grazie.
    Gaetano
    SkydiveSicilia

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