…and I know
in my heart, in this cold heart
I can live or I can die…
(Michael Kiwanuka, Cold little heart) 

 

C’era un cuore, ma non era il mio.

Lo aveva disegnato per noi il cielo: morbido e grande. Era il cuore più bello di sempre.
Stava lì, lontano, a fissarci nell’attesa che ci accorgessimo di lui. Lì, pronto a lasciarsi trascinare via dal vento e a rotolare nell’aria insieme al polline di una tiepida giornata.

Camminavamo contando i nostri passi, uno ad uno e prestavamo attenzione a dove mettessimo i piedi per non scivolare.

Eravamo in tre, l’uno accanto all’altro. L’uno, di tanto in tanto, davanti all’altro.
Ci aspettavamo per scambiare ancora qualche parola, per ridere insieme, per dividerci le fatiche di una scarpinata in montagna. Per il semplice motivo di tenerci compagnia.

Avevamo appena scattato qualche fotografia, tante in verità da quando eravamo partiti, ma l’immagine più bella e pura di quella giornata dovevamo ancora vederla.

Nel cielo, in quel foglio azzurro sopra di noi, si affacciava una nuvola che pareva tratteggiata a matita: era perfetta.

Il primo cuore bianco che avessi mai visto e non rosso come tutti gli altri, non rosso come quelli che, sbadatamente, avevo sempre disegnato già da piccola.

Il primo cuore vero, lì, davanti alla punta del naso, ma tanto distante da non poterlo afferrare. Così lontano da non poterlo toccare. Incredibile a tal punto da non sembrare reale.

Lo guardai bene, prima di indicarlo anche agli altri. Magari mi sbagliavo, sicuramente mi sbagliavo. O forse no.

Così puntai il dito verso di lui, facendo sorridere prima gli occhi e poi le labbra e dando voce a un’emozione veloce e distratta da tutto il resto.

“Una nuvola a forma di cuore!”

Le avevo viste ogni tanto in qualche rivista o pubblicità e le avevo sempre scambiate per fotomontaggi venuti bene, da veri professionisti insomma. Ma quella nuvola no, non era una finzione.

Era un caso divertente e curioso, piazzato in una giornata spensierata e leggera, dopo un periodo senza freni né limiti né sonno.

Abbiamo riso nel vederla, ci siamo meravigliati e l’abbiamo fissata a lungo. Bella! Uno scorcio tenero, prezioso da custodire.

C’era un cuore, ma non era il mio.

Era quello di un mondo che a volte sa come parlare e farsi ascoltare.
Un mondo in cerca di una mano da stringere e con cui camminare fianco a fianco. Di un corpo con cui scambiarsi la pelle e tenere per sé le ossa, ché quelle servono all’anima per rimanere in piedi.
Un mondo che, come la vita, sa aspettare, perché le cose belle non le prevedi, le desideri.

Quella mattina c’era un cuore, che ancora non conosco e c’era anche il mio.

Perché è così che accade: per caso, una sorpresa.
Per caso, in due.

(In foto, il cielo dell’Etna e un cuore libero, senza battito, ma vivo)

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