Parlarvi di lei, della mia penna blu, significa per me spogliarmi dei vestiti e della pelle che indosso e mostrarvi le ossa, i polmoni, il cuore.

Devo tornare indietro di parecchi anni ormai, quando mio padre tornò a casa da lavoro con una penna banale, senza in fondo nulla di speciale. Aveva l’inchiostro nero, ma il suo aspetto era blu con tanti puntini, che io ho sempre chiamato impropriamente “brillantini”.

Me la regalò e decisi subito di usarla per le occasioni importanti, perché mi portasse fortuna: esami universitari, colloqui di lavoro, prime dirette televisive. Era sempre con me, tra le dita o in borsa.

Una di quelle penne che non ho mai prestato a nessuno, neanche per sbaglio né per distrazione: la possibilità di perderla per una dimenticanza sarebbe stato un prezzo troppo alto da pagare e non ho mai rischiato. Era importante, sì, perché mi portava davvero fortuna e perché me l’aveva regalata mio padre, l’uomo della mia vita, la metà di me migliore, il sangue del mio sangue più rosso e denso.

Da lui ho ereditato il naso e l’ironia e sempre da lui ho imparato la complicità, il silenzio e l’ascolto. Sono cresciuta con un quadro che dondolava nel corridoio la notte per non piangere e con l’odore del pesce appena pescato sotto al naso. Lui e quella sua passione, che rendeva le domeniche più lunghe e più buone.

Crescere con un padre significa non aver paura, diventare forte abbastanza e fare dell’ostinazione una sana abitudine. Così da piccola preferivo i pantaloni alle gonnelline, da adolescente giocavo a calcio e facevo le gare con la bici e da grande ho sempre stretto forte la mano della gente a cui mi sono presentata.

Tutte queste cose la mia penna blu le sa già, per lei non sono una novità. Blablablog.it non poteva avere un colore diverso, un logo diverso, un po’ come me e il naso uguale a quello di mio padre.

Non ci sono più i pesci, né il quadro né quel corridoio stretto, ma c’è tutto il resto. Tutto quello che rimane sempre e comunque. Come questa penna, che oggi più che mai non è una penna blu con i brillantini e basta.

È la penna che muove ogni cosa, che custodisce, confuse fra le mie, le impronte delle sue dita. È la voce che lui ha perso e che spinge ogni parola. Ecco perché blablablog.it, ecco perché una penna blu. Perché la fine è pura utopia, è il pretesto di chi non sa continuare. È l’àncora di chi ha paura del mare, l’ombrello di chi non vuole bagnarsi sotto la pioggia. Per me non è mai finito nulla.

È questo che ho imparato, più di tutto, crescendo con mio padre: la domenica non è fatta per dirti che la settimana si è conclusa, ma per ricordarti che altri sette nuovi giorni stanno per ripartire. E sai quante cose si fanno in sette giorni? Si vive, si cambia il mondo. Si piange. Si vedono i fiori sbocciare e cadere a pezzi, petalo dopo petalo. Una rosa che perde il volto crea ai suoi piedi il disegno più bello.

Lo avrete capito sicuramente, alla mia penna blu non piacciono le storie tristi, piacciono piuttosto i racconti veri, quelli che non provano vergogna. A lei piace il lieto fine sempre e anche stavolta ne scriverà uno.

È il ricordo della mia prima volta in bici senza rotelle. Ho imparato perché credevo che mio padre fosse lì a regalarmi un equilibrio che temevo di non avere. Un’illusione che mi faceva muovere i pedali, un giro dopo l’altro. In realtà, lui aveva smesso di correre dietro al mio sellino da tempo, ma non me lo diceva.

Si godeva da lontano il mio percorso traballante, imperfetto, audace, con la speranza che non cadessi. Un padre, in fondo, fa questo: ti insegna a cavartela da solo e non ti lascia mai, fino a quando non capisce che hai imparato.

Colpa mia, che ho appreso troppo in fretta.

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